La fotografia all'interno dell'ambra fossile

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La fotografia all'interno dell'ambra fossile

Postby Enotria » 01 May 2018 16:23

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Tutto comincia con l’arrivo di un pacchetto di campioni di ambre contenenti piccole inclusioni e con la preghiera di un appassionato paleontologo che, conoscendo il mio interesse per la microscopia, vuole sapere da me il modo migliore per fotografarle.

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L'arrivo dei campioni di ambra fossile da fotografare
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Ragionandoci un po’ sopra, vi sono indubbiamente diversi problemi preliminari da risolvere: la scarsa trasparenza ed il colore proprio dell’ambra, la costante presenza di difetti strutturali come incrinature, graffi, macchie di ossidazione e decomposizione, bolle di aria intrappolate, polvere ed impurità, ammaccature, ecc. ecc.
Poi, quello che per me è stato il problema maggiore di tutti: le troppo grandi dimensioni delle strutture intrappolate nella resina.
Il problema dimensionale rendeva difficile ed esagerato l’utilizzo del classico microscopio, d’altra parte l’utilizzo dello stereo microscopio è si perfetto per guardare in 3D, ma non è per nulla adatto per fotografare in due sole dimensioni, dei soggetti che richiedono sempre l’utilizzo di stack su più piani.

Come era fin troppo facilmente prevedibile, le prime prove sono state un disastro: a causa dell’eccessivo contrasto, le immagini erano troppo incise, di conseguenza la luce incidente rendeva evidente la minima incrinatura o il minimo difetto. Al contrario, se si cercava di ridurre i difetti strutturali abbassando l’illuminazione, si cadeva inevitabilmente su di uno scontato e monotono effetto silhouette.




Oltre tutto, l’illuminazione incidente dava talvolta origine ad un particolare effetto che in microscopia si chiama “Illuminazione Obliqua o IO”, una tecnica che accentua moltissimo tutti i minimi rilievi, le più piccole increspature. Come si vede dalla foto, la tecnica IO va benissimo se lo scopo è mettere in evidenza il delicato disegno e la trama delle ali, ma rende esagerate le pieghe della resina, formate a suo tempo dai movimenti scomposti della zanzara nei suoi disperati tentativi di liberarsi dalla morsa della resina.

Vediamo ancora un caso di immagine inutilizzabile, per poi vedere, subito di seguito, la stessa immagine, ma ottenuta con modalità molto più accurate. Vedremo così meglio le differenze che si ottengono con i due metodi.

Se riguardate un momento la prima foto, quella delle ambre da esaminare, vedrete che l’ambra a sinistra in alto ha sul bordo un minimo puntino scuro. Più esattamente è un acaro, il suo nome Neoliodes Dominicus indica che è tipico della Repubblica Dominicana e, purtroppo, non esiste più da 20 milioni di anni, per cui lo possiamo vedere e studiare solo immerso nell’ambra.




La foto, fatta con la tecnica iniziale della luce incidente, è un concentrato di errori, una vera schifezza !
L’illuminazione si è mal distribuita, secondo le linee preferenziali dell’ambra, creando zone molto illuminate e “bruciate”, a confronto con altre rimaste buie. Sono evidentissime le decine di incrinature e di graffi che il tempo ha solcato sulla tenera resina (capirai, con 20 milioni di anni, c’è n’è stato di tempo a sufficienza per rigarla). E poi bollicine d’aria, le sporcherie varie che inquinavano l’aria di allora, ecc. ecc.

Questo è il livello fotografico da cui sono partito, ho provato diverse tecniche e diversi accorgimenti ed il risultato finale, di cui sono, per ora, soddisfatto, è invece questo:




Sparite le striature, sparite le ammaccature, il contrasto è tornato normale, la foto è accettabile.

La buona pulizia dello sfondo, ha inoltre reso possibile anche il tentativo di rianimare il nostro acaro in una rappresentazione tridimensionale, in grado di rendere molto più efficacemente la forma e la struttura del Neoliodes !


https://youtu.be/vsOFl2yzfis


(Continua)


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Re: La fotografia all'interno dell'ambra fossile

Postby Enotria » 03 May 2018 17:57

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Diversi sono gli accorgimenti messi in opera per avere delle immagini di inclusioni in ambra il più possibile ben definite, anzi, l’effetto migliore lo si ottiene proprio quando il soggetto incluso lo si vede immerso nell'ambra perfettamente trasparente, senza crepe ed ammaccature, come se fosse visto sospeso nell'acqua limpida.




Un esempio tipico può essere questa immagine, in cui vi sono dei microscopici peli vegetali e apici di muschio che normalmente viaggiano nell’aria trasportati dal vento. Al contatto con la resina fresca, sono rimasti intrappolati e perfettamente conservati fino ad oggi. A causa della loro forma piuttosto aggrovigliata, sono comunemente chiamati stellate hairs e sono tipici delle ambre provenienti dal mar Baltico.

Ma ritorniamo alla tecnica fotografica.

Il primo problema grosso che abbiamo visto è l’eccessivo contrasto che l’illuminazione incidente può formare e che non è facile da graduare: se illuminiamo un pelo troppo abbiamo le zone bruciate e quelle sottoesposte, se illuminiamo troppo poco abbiamo la solita e noiosa silhouette.
Come rimedio dobbiamo abbandonare la luce concentrata degli spot ed ammorbidirla o con la tecnica della “campana di luce”, vedi il post sugli accessori dello stereo, se stiamo utilizzando uno stereo microscopio, o meglio ancora, con una luce diffusa tipo bank ed un adatto microscopio.

Abbiamo già discusso della campana di luce, vediamo meglio quali caratteristiche ha invece un “microscopio a luce diffusa”.




Come vedete, è un microscopio biologico invertito, in questo modo ha la parte superiore del tavolo completamente libera. Possiamo così montare sopra al tavolo una comune lampada di tipo da scrivania, con la luce diffusa da una comune lampada fluorescente. In questo modo possiamo spostare l’illuminazione come vogliamo, in alto, in basso, ovunque vediamo che si creano meno riflessi. E’ una tecnica che in microscopia è usata per accentuare l’effetto tridimensionale delle strutture ed è chiamata Illuminazione Radente Inversa (IRI).

Un accessorio che si rivela molto utile per queste ed altre riprese è quello che io chiamo “le piscine”.




Sono dei vetrini porta oggetto auto costruiti, partendo da una lastrina di plexiglas spessa 6mm, dove al centro è ricavato un foro di varie forme e dimensioni. Il foro viene poi chiuso con un sottile copri oggetto che garantirà così la massima trasparenza (la visione nel microscopio invertito avviene da sotto).


Veniamo ora ad un altro problema non da poco: la presenza di difetti strutturali nell’ambra, con fessurazioni, ammaccature, graffi, retinature superficiali, ecc.
Certamente una soluzione potrebbe essere la lucidatura con un abrasivo, ma se abbiamo diverse pietre da trattare, diventa impossibile.
Allora, la soluzione più rapida è quella di ricorrere ad un principio dell’Ottica: due sostanze possono venir distinte solo se il loro indice di rifrazione è diverso (non è proprio così, ma quasi !).

Quindi, se l’indice di rifrazione è molto simile, diventerà impossibile distinguere l’una dall’altra.
Orbene, l’indice di rifrazione medio dell’ambra è di 1,54, quindi se noi la mettiamo a bagno in un liquido con lo stesso indice, l’ambra svanirà con tutti i suoi difetti e noi vedremo SOLO l’inclusione, che invece ha un indice di rifrazione ben diverso.
Nella pratica, una volta che la nostra pietra è nella sua “piscina”, basta aggiungere poche gocce di liquido adatto, per far sparire i difetti quasi completamente.




I liquidi utilizzabili sono l’olio da microscopia (i.r. 1,55) o meglio il benzoato di benzile (i.r. 1,57) che costa molto di meno e che è utilizzato anche in gemmologia. Se proprio siete alla carretta, l’olio di semi che usate per friggere le patatine può andare ancora abbastanza bene (i.r. 1,47).




Naturalmente, nulla potete contro le zone di decomposizione o ossidative interne, che coprono tutto di un bel marrone scuro impenetrabile alla luce o di una spessa muffa bianca che vi ricopre l'inclusione.


In questi casi io non so che suggerirvi, un qualche risultato lo si ottiene con la microscopia in fluorescenza, ma dato il costo della attrezzatura, non so se il gioco vale la candela, pertanto ne faccio solo un cenno.




Come in questo caso, talvolta si è fortunati e la fluorescenza riesce ad evidenziare abbastanza bene i particolari che stanno sotto alle zone degradate, ma non sempre funziona !
L’immagine si forma illuminando il soggetto con una luce monocromatica detta di eccitazione, in questo caso un blu scuro a 465 nm, a cui il soggetto talvolta reagisce emettendo a sua volta per fluorescenza una luce a diversa lunghezza d’onda, nel nostro caso giallo verdastra.

In pratica la luce che illumina non è quella incidente che troverebbe sul suo percorso la zona degradata dalla muffa, ma una luce emessa dalla stessa ambra, dal suo interno e rivolta verso l'esterno, perciò bel al di sotto della zona macchiata dalla decomposizione.


Naturalmente, non è detto che tutti voi dobbiate utilizzare tutti questi accorgimenti, certo dipende dall'interesse che avete e se siete già dotati del componente più costoso, il microscopio invertito.

In sua mancanza, potete benissimo provare con la campana di luce e l'olio fritto delle patatine, in ogni caso le foto ne avranno un netto giovamento.



Abbiamo visto così le tecniche migliori per raggiungere lo scopo, resta però il problema del loro costo, non proprio minimale.

Nel prossimo post vedremo una soluzione che, anche se non perfetta, consente risultati molto buoni, pur con una spesa di pochi Euro.



(Continua)

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